Scuole chiuse

DonGB
26 Marzo 2020
Destinatari
Infanzia, Primaria, Sec. 1° grado, e Sec. 2° grado
Tipo
Comunicazione dal Servizio IRC
Oggetto
Per una comune riflessione in tempo di Covid-19

CORRIERE DELLA SERA DEL 23-03-2020

di Alessandro D’Avenia

SCUOLE CHIUSE

 

«Margie lo scrisse perfino nel suo diario. Sulla pagina che portava la data 17 maggio 2157: Oggi Tommy ha trovato un vero libro!». Comincia così «Chissà come si divertivano», un racconto del 1955 del maestro della fantascienza, Isaac Asimov, in cui Margie e Tommy, 11 e13 anni, trovano in soffitta un libro. Quell'oggetto, in cui le parole «non si muovono», è un reperto archeologico, sostituito da più di un secolo dai «telelibri», testi che scorrono sullo schermo tv come i titoli di coda di un film. Ma la sorpresa è ancora più grande quando i due scoprono che il libro parla di qualcosa a loro ignoto: la scuola. Nel 2157 ci sono infatti solo i «Maestri Meccanici», robot individuali che, in camera, spiegano e verificano: «La cosa che Margie odiava soprattutto era la fessura dove doveva infilare i compiti.

Le toccava scriverli in un codice perforato che le avevano fatto imparare a sei anni, e il maestro meccanico calcolava i voti a velocità spaventosa». E nel marzo 2020 la scuola esiste ancora? Si, ma a una condizione: se tutte «le» scuole sono chiuse, «la» scuola è rimasta aperta solo dove «scuola» è il nome che diamo alla relazione che sopravvive alla chiusura dell'edificio. Altrimenti aperta, una scuola, non lo è mai. «Questo è un tipo di scuola molto antico. Avevano un maestro, ma non un maestro regolare. Era un uomo» dice Tommy, e Maggie stupita risponde: «Un uomo? Come faceva un uomo a fare il maestro?».

La scuola del passato era una comunità di ricerca guidata da maestri in carne e ossa: «Ci andavano i ragazzi del vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme. Imparavano le stesse cose, così potevano aiutarsi per i compiti e parlare di ciò che avevano da studiare. E i maestri erano persone».

I maestri meccanici non ci sostituiranno mai perché la materia è la «materia» con cui si in- e co-struisce l'edificio relazionale: a scuola non ci si va, ma ci si è, a patto che essa sia fondata su relazioni generative.

Se ciascuno dà all'altro ciò di cui l'altro ha bisogno, la relazione rigenera le persone coinvolte e genera i cosiddetti beni relazionali, frutti specifici di una relazione (in quella educativa: cultura, autonomia, vocazione). Questi frutti non si danno se la relazione è ridotta a prestazione (tu ripeti/fai ciò che ti dico), e diventa addirittura de-generativa (toglie vita).

I ragazzi hanno bisogno di noi per scoprire sé e il mondo, e per inserirsi gradualmente nella storia umana: la loro anima non può farsi da sola. Allo stesso modo noi docenti abbiamo bisogno di loro per scoprire noi stessi e il mondo, perché anche la nostra anima (come quella di tutti gli esseri umani) è in continua crescita. Non siamo robot che erogano materie e voti, noi con- e in-segniamo, nello stesso spaziotempo (online o in classe), pezzi di mondo a cui ci siamo dedicati. Ed è proprio nell’atto di porgerli che scopriamo cose nuove del mondo e di noi: se dopo una lezione non ho imparato niente, sono certo di non aver insegnato niente. In una scuola relazionale e non prestazionale infatti non si riesce mai a fare la stessa lezione (altrimenti che mi sostituisca il maestro meccanico): insegno da 20 anni e non posso raccontare mai lo stesso Dante, perché cambio io, così come le anime da raggiungere.

Ed è grazie a questa «materia viva» che non solo non mi annoio, ma mi viene donato ogni anno un nuovo Dante, interpellato in modo diverso in ogni classe. La testa di un ragazzo è come quella di un fiammifero: si accende e accende, solo se la sfreghi con ciò che ha capacità di innesco (verità e bellezza), per questo le grandi opere (letterarie, tecniche, scientifiche...) fanno «il programma». Noi riceviamo vita solo da chi la vita la sa mettere «a fuoco», chi è «passato» nel mondo e ce ne ha lasciato una mappa: poi sta a noi camminare e aprire nuove strade.

E proprio Dante — il 25 marzo 2020 ricorre la prima celebrazione nazionale — che distilla la relazione con un maestro quando, incontrando nell'aldilà il suo, Brunetto Latini, gli dice che non dimentica «la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m’insegnavate come l'uom s'etterna», e Brunetto si rammarica di non aver potuto seguire sino in porto la promettente navigazione del suo allievo. La scuola è un faticoso «ora ad ora» che serve a dare senso e vita a tutte le altre ore. Uno studente non deve rifare da solo la storia umana, ma fare i passi indietro necessari per saltare, lui, un po' più avanti, proprio grazie alla rincorsa in un passato che passato non è, altrimenti l non lo si studierebbe. Ma questo, senza una scuola viva (relazionale e generativa) è impossibile: «Margie pensava ai bambini di quei tempi, a come dovevano amare la scuola: —Chissà come si divertivano!».

Le scuole adesso sono chiuse: ma prima erano aperte?